Dell’impudenza politica – IV

cerebus primo ministroNello specifico, il libro si presenta con una prefazione, non firmata, curiosamente stampata in corpo 70 o giù di lì (del tipo 4 parole x riga/15 righe x pagina).
Chi l’ha scritta? Non si sa: vengono citati solo i traduttori e il curatore delle note.  E’ come se chi acquistasse il libro fosse già tenuto a sapere chi lo ha introdotto, perchè da tutta questa cura è strana la mancanza di riferimento proprio a colui il quale il testo lo presenta. Che l’abbia scritta Dell’Utri? Nell’ultima pagina, una nota ci informa del fatto che "questa seconda edizione [è stata] realizzata per conto di Pubblitalia ’80 e coordinata da Marcello Dell’Utri".
Il Senatore è dunque coordinatore de "Il Prosseneta", Silvio Berlusconi Editore 2002. Presumibilmente la prefazione è sua -non potrebbe essere altrimenti- ma perchè non è firmata?
Leggiamone un po’: 

 -[…]Dicevamo del politico. […] Il Prosseneta ovvero Della Prudenza Politica […] entra nella nostra collana. E’ un trattato condotto con chiarezza aristotelica che esamina i fondamenti stessi del vivere sociale. Scrive Cardano nel capitolo I […] "il nostro scopo è quello di dimostrare in che modo ci possiamo procurare il potere, la gloria, la fama, gli amici, la serenità e come possiamo godere di ciò che la fortuna ci ha concesso" –

 

 

 

Dell’Utri, o chi per lui, ci ha immediatamente tuffato nello spirito del testo, senza troppi fronzoli; che cos’è il prosseneta lo fa dire a Cardano stesso: una summa di consigli, una guida strategica al saper vivere. Ovvero, a "procurarsi il potere". In questo senso, continua Dell’Utri:
– [Cardano] sa molto bene con Cesare che "se il diritto deve essere violato, lo sia per conquistare il potere, per il resto venera la pietà" [Svet. De vita caesarum XXX,5]. E sa che sotto la coltre dei giudizi morali occorre liberarsi di tutti i luoghi comuni per trovare la vera natura dell’uomo [sic.]: "dove si nasconde l’errore? Nel ritenere che sia saggio chi è definito buono o che sia stupido il malvagio". –

La citazione di Cesare via Svetonio è inserita da Dell’Utri in un modo un po’ brusco, ma molto efficace, e va a legarsi direttamente alla frase successiva, che introduce il tema di "vera natura" dell’uomo. Anche se a me questa ricerca della "vera natura" sfugge, mi sa di vago: "coltre dei giudizi morali", "liberazione dai luoghi comuni", e sotto… sotto cova la natura vera! Perchè un buono non può essere saggio: sotto sotto il luogo comune, il buono deve essere il fesso. Colui che non viola il diritto, il "buono" dunque, ha la vera natura del suddito? La domanda è l’affermazione non voluta, ma pensata e sostenuta e sottintesa in queste prime righe.

Ecco, forse così è più corretto, anche chiaro, ma non è ciò che interessa a Dell’Utri. Ciò che interessa è fare in modo che questo errore di valutazione (quale è il buono=saggio) non si nasconda, o meglio, che possa essere trovato il luogo dove, birichino, l’errore si nasconde. Che possa essere trovato, ma non da tutti. Quel luogo è il diritto.

 

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